Quasi ogni sostanza che viene utilizzata dall’uomo e per l’uomo ha reso necessario il suo preventivo utilizzo sugli esseri animali non umani.

Dalle tinture per i tessuti, ai gas di scarico, dai cosmetici agli ordigni bellici, dai medicinali agli inchiostri, persino il cibo stesso per gli animali domestici è testato sugli animali.

A partire da alcuni anni si è aperto un dibattito sull’utilità o meno dell’esecuzione dei test sugli animali, un argomento che necessariamente ha risvolti etici e morali sull’opportunità di sottoporre a sofferenze e sperimentazioni esseri senzienti che, oggi sappiamo, provano dolore, sentimenti e angoscia.

Facciamo il punto della situazione.

La ricerca sugli animali è strettamente regolata dalla direttiva europea 2010/63/EU e dal decreto legislativo italiano 4 marzo 2014 n 26. In base a questa norma, tutti i progetti di ricerca che contemplano l’impiego di animali, devono essere autorizzati dal Ministero della Salute e portati avanti all’interno di stabilimenti autorizzati.

Il benessere degli animali è un valore dell’Unione sancito dall’articolo 13 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) ma vediamo nel dettaglio come questo è garantito.

Fin dall’adozione dal 24 novembre 1986 (direttiva 86/609/CEE volta a eliminare le disparità tra le disposizioni legislative degli Stati membri relative alla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici) sono emerse divergenze tra gli Stati membri. Alcuni Stati membri hanno adottato misure nazionali di attuazione che garantiscono un elevato livello di protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, mentre altri si sono limitati ad applicare i requisiti minimi stabiliti dalla direttiva. Serviva quindi, una riorganizzazione normativa a livello europeo che dettasse ben più dei requisiti minimi ma un sistema organizzato di regole che imbrigliassero la libera applicazione dei singoli Stati.

Ecco che vengono stabiliti dei punti chiave, che per quanto ci facciano orrore, hanno rappresentato comunque una linea di demarcazione importante all’interno della quale i singoli Stati non avevano più margine di manovra.

Importante, per il tempo in cui venne scritta la direttiva, fu l’inclusione anche dei cefalopodi (oltre ai vertebrati) nell’ambito di applicazione della direttiva e quindi teoricamente di maggior tutela, poiché è scientificamente dimostrato che possono provare dolore, sofferenza, angoscia e danno prolungato. Così come le forme fetali di mammiferi poiché è scientificamente dimostrato che nell’ultimo terzo del periodo del loro sviluppo vi sono rischi che tali forme provino dolore, sofferenza e angoscia, con potenziali effetti negativi sul loro sviluppo successivo.

Nonostante la direttiva stessa, nei suoi incipit, affermi chiaramente e senza mezzi termini “Benché sia auspicabile sostituire nelle procedure l’uso di animali vivi con altri metodi che non ne prevedano l’uso” e che “la presente direttiva rappresenta un passo importante verso il conseguimento dell’obiettivo finale della completa sostituzione delle procedure su animali vivi a fini scientifici ed educativi non appena ciò sia scientificamente possibile”, la realtà dei fatti presenta ancora delle forti limitazioni al cambiamento, nonostante la direttiva stessa prevedesse che i singoli Stati potessero stabilire una legislazione ancora più restrittiva e più rigorosa di quella proposta.

Tra l’altro, il grosso limite della Direttiva in questione è che, con un continuo rimando a deroghe, esenzioni e “dimostrazioni” scientifiche, si annullano gran parte dei divieti che essa stessa aveva posto. La novità introdotta dalla Direttiva n. 2010/63/UE (e recepita con il Decreto Legislativo n. 26 del 4 marzo 2014) riguarda lo sviluppo, la convalida, l’accettazione e l’applicazione dei “metodi alternativi e procedure che consentano di evitare il ricorso all’utilizzo di animali nella sperimentazione scientifica. Ma fatto sta, che al momento, siamo fermi con una normativa di oltre 10 anni fa, benché gli studi scientifici ed etologici abbiano ampiamente dimostrato che gli animali non umani provano enormi sofferenze già dall’essere stabulati in laboratorio, figurarsi all’essere sottoposti a manipolazioni mediche, operazioni, prelievi ed esperimenti.

A questo si aggiunga che tutte le specie animali sono oggetto di studio ma solo alcune sono protette dalle normative vigenti; in generale solo gli animali vertebrati non umani e i cefalopodi ricadono nell’ambito di applicazione della normativa europea e italiana sulla protezione degli animali utilizzati in ricerca. Per gli invertebrati, quindi, non esistono norme tese a garantire la loro protezione e l’utilizzo di invertebrati invece che vertebrati è considerato un “metodo alternativo” (partial replacement).

Perimenti, solo i vertebrati e i cefalopodi che ricadono nell’ambito di applicazione della normativa vigente sono censiti. Non abbiamo quindi la possibilità di valutare quanti invertebrati vengano coinvolti nelle procedure di ricerca ma possiamo pensare che il numero sia molto elevato.

Al momento, però, sono pochissimi i sistemi sostitutivi approvati, alcuni dei quali sono elencati sul sito del Centro referenza Nazionale metodi alternativi, benessere e cura degli animali, presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (IZSLER). Si tratta, nella quasi totalità dei casi, di sistemi alternativi alla sperimentazione animale per valutare l’irritazione cutanea e oculare delle sostanze, ovvero utili soprattutto nel campo della cosmetica più che della ricerca medica.

Attualmente, restano fondamentalmente due i sistemi alternativi alla sperimentazione animale, il primo prevede la creazione di organi artificiali (i cosiddetti organoidi) che sono comunque utili a capire gli effetti di una sostanza sull’eventuale organo bersaglio rispetto a cellule di un solo tipo cresciute in singolo strato in piastre di coltura. L’altro riguarda i cosiddetti modelli “in silico”, cioè modelli computerizzati di processi metabolici o banche dati di sostanze chimiche che possono dare informazioni preliminari sulla tossicità di una sostanza. Per ora questi sistemi sono utilissimi a classificare le sostanze in probabilmente innocue o probabilmente tossiche sulla base delle loro caratteristiche chimiche e fisiche. Questo permette di ridurre il numero di animali coinvolti nello studio di un nuovo farmaco, ma certo non basta a eliminarli del tutto. Soprattutto perché ancora oggi, in ambito medico scientifico si ritiene che l’organismo nel suo insieme è troppo complesso e per questo, alcune sperimentazioni animali non sono sostituibili con metodi alternativi che offrano uguale attendibilità.

Secondo le statistiche ufficiali, l’UE utilizza ancora milioni di animali ogni anno per ricerche e test.

Oltre alle crescenti preoccupazioni etiche, i progressi significativi nel campo della biotecnologia e dell’informatica, sta crescendo il desiderio di utilizzare sperimentazioni che non prevedano l’uso di animali nella scienza.

L’ECVAM (European Centre for the Validation of Alternative Methods) insieme alla sua rete europea di laboratori per la validazione di metodi alternativi, ha appena completato (nel 2023) il più grande studio di validazione mai realizzato su 18 metodi in vitro per identificare le sostanze chimiche che possono potenzialmente alterare il sistema degli ormoni tiroidei. Rendere disponibile una tale serie di test non solo eviterà l’uso di animali, ma colmerà anche le lacune nella protezione legate alle sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino. L’introduzione di nuovi approcci che non prevedano l’utilizzo di animali nella ricerca e nei test tradizionali richiede accordi tra più nazioni, che lavorano insieme per massimizzare l’impatto e utilizzare al meglio le risorse. Ad esempio, l’ECVAM è coinvolto con più di 70 organizzazioni scientifiche di 16 paesi dell’UE, del Regno Unito e degli Stati Uniti in tre progetti complementari, tutti incentrati sulla realizzazione di un modello per l’industria chimica basata esclusivamente su metodi che non prevedono l’uso di animali.

Riteniamo, quindi, che favorire la ricerca medica nella realizzazione di test che non prevedano l’uso di animali sarebbe senza dubbio da favorire, in considerazione del fatto che già si è notato il calo di animali utilizzati.

Il crescente sentimento etico e morale che coinvolge sempre più medici e tecnologi sperimentali, ha subito un’accelerazione importante che deve essere sostenuta con donazioni e interventi pubblici importanti per perseguire sempre più una sperimentazione che non coinvolga esseri senzienti.

Si usano animali nella ricerca di base delle università, nello studio di malattie umane e veterinarie, nelle neuroscienze, nella messa a punto di nuovi farmaci, ma anche a scopo didattico (esercitazioni di anatomia, fisiologia e chirurgia), nel monitoraggio ambientale (per sostanze che devono essere rilasciate nell’ambiente come i pesticidi) e nell’industria bellica (collaudo di nuove armi balistiche, chimiche, nucleari e biologiche): è davvero così necessario?

Il dibattito sta sempre diventando più attuale e cogente, ma non sarà mai del tutto superato fino a che sarà visto come una guerra tra animali e umani. Serve collaborazione, serve una normativa puntuale, servono investimenti e serve la volontà di considerare una vita (umana o no) alla pari di un’altra.

L’altro aspetto che contempla la sperimentazione è la filiera di approvvigionamento degli animali che arrivano ai laboratori di ricerca. La sperimentazione alimenta un immenso giro d’affari che coinvolge allevamenti di animali da laboratorio. Accedendo al sito della Charles River Laboratories (per citare la più famosa), una delle più grandi multinazionali specializzata in allevamento e vendita di animali da laboratorio è possibile sfogliare un ampio catalogo di animali sani o portatori di malattie (diabete, Alzheimer, Parkinson, tumori e insufficienza cardiaca, per citarne alcune) o con alternazioni chirurgiche (ne sono disponibili ben 55) comprendente topi, ratti, conigli, criceti, porcellini d’india, femmine in lattazione e nidiate.

La normativa europea, in Italia ha avuto vita propria, differenziandosi dal resto dei paesi europei che l’hanno recepita. Di fatto, in Italia, sono vietati gli allevamenti di alcune specie di animali destinate alla ricerca biomedica – cani, gatti e primati non umani – per motivi etici. Ma è comunque permesso il loro utilizzo. Questo significa che gli animali devono essere acquistati da allevamenti esteri e poi importati in Italia. Vengono importati animali dal Madagascar o da altri paesi, incrementando di fatto un mercato parallelo di cui sappiamo ben poco, e che rischiano seriamente di sovvenzionare un mercato illegale.

Quindi, non si tratta solo di ridurre il dolore e sofferenza nei test scientifici o di sostituire alcuni trattamenti sperimentali. Il discorso diventa sempre più ampio e sempre più da guardare sotto diverse sfaccettature.

In alcuni ambiti gli animali sono già stati totalmente rimpiazzati: è il caso dei crash test, della didattica, dei test di tossicità nel settore cosmetico. In ambito didattico, modellini di animali ed esseri umani, video, simulazioni computerizzate, esperimenti su colture cellulari e pratica clinica sono metodi che per legge devono essere utilizzati al posto degli animali.

Di fatto si deve e si può incrementare una ricerca diversa. Non abbiamo più scuse, non esiste una vita che vale meno di un’altra.

Deborah Mezzetti per Made in Bunny O.d.v.


Considerazioni – a cura di Fabio Marcone

Alla luce di quanto esposto, cosa possiamo fare concretamente?

Per noi attivisti è fondamentale la conoscenza al fine di poter studiare azioni concrete. In questa direzione, Vi invitiamo a navigare il nostro sito www.madeinbunny.org, dove troverete le fonti normative e degli approfondimenti su molti temi legati agli animali.

Possiamo e dobbiamo sempre fare informazione, precisando che Vegan non sempre significa Cruelty Free, invitando le persone a leggere cosa stanno acquistando.

Sicuramente un’altra cosa che si può fare è evitare di donare ad organizzazioni che raccolgono fondi per cause che prevedono test sugli animali, prediligendo realtà che portano avanti una ricerca “pulita” senza sperimentazione sugli animali.

Infine, voglio che tutti ci ricordiamo di una cosa importantissima, che è sempre all’ultimo posto: i pesci. Il numero dei pesci usati come cavie è più che raddoppiato negli ultimi anni. Vengono utilizzati per valutare l’eco tossicità di sostanze. Per cui prima li uccidiamo con l’inquinamento e poi testiamo se quelle sostanze sono davvero eco tossiche su altri animali.

Grazie dell’attenzione.